Villaggio vs Megalopoli
Spaventa
la folla solitaria dal carattere anonimo e impersonale, in cui il singolo tende
a scomparire rispetto alla moltitudine indifferenziata e uniforme.
L’appiattimento generale che ne deriva è stato talvolta considerato non tanto
come un fattore di maggiore democratizzazione, bensì come una minaccia alle
libertà individuali. È la vittoria dell’impersonalità, del “mondo del si” di
Heidegger. Si dice, si pensa, si fa come se ci fosse una verità calata
dall’alto a cui occorre aderire per sentirsi partecipi alla società, un’azione
di cui nessuno conosce il soggetto ma tuttavia essa è valida di per sé proprio
grazie a quella particella che ne presuppone l’universalità. Televisione,
internet e pubblicità non fanno che alimentare questa omologazione. Questo non
significa che siano elementi di per sé negativi, sono semplici strumenti dalle
grandi potenzialità il cui effetto dipende dal loro utilizzo. Ad esempio la
televisione, invece di essere il fulcro e lo stimolo per la creatività del
Paese, è ingabbiata dai format che aprono il “villaggio globale” allo
spettatore.
Diventa
dunque difficile, e talvolta dolorosa, l’esistenza per chi non accetta di
omologarsi acriticamente a un qualcosa che del resto non è neanche ben
definito. Tale individuo, che si sente incompreso, tende a chiudersi e isolarsi
in una nostalgia verso il “villaggio”, quella comunità di uomini non ancora
industrializzata basata sulla reale partecipazione di ogni suo membro. Però
questa nostalgia per un mondo passato non è la risposta giusta all’impersonalità
del mondo attuale. In primo luogo essa corrisponde ad un atteggiamento
antistorico, dal momento che è impensabile riproporre oggi tale e quale la
società pre-industriale. In secondo luogo perché muove da una visione distorta
che idealizza, nell’ambiente agreste, un Eden di innocenza e autenticità che
del resto non è mai esistito, un locus amoenus che forse non oltrepassa la
virgiliana ecloga di Titiro e Melibeo. Anche nella comunità dei villaggi vi
sono sempre stati problemi e rivalità come nella megalopoli. Non è inoltre vero
che il villaggio è il luogo per eccellenza di partecipazione e che la
megalopoli lo è della passività: in entrambi i contesti vi è sempre qualcuno
attivo che incide sulle decisioni e altri passivi che le subiscono, semplicemente
nelle megalopoli la scala si ingrandisce considerevolmente. Questo non
significa che non vi siano differenze oggettive fra villaggio e megalopoli, la
seconda infatti sta sempre più sopraffacendo la prima. Semplicemente l’uomo è
portato alla soddisfazione del proprio interesse sia nel villaggio che nella
megalopoli con il conseguente sorgere delle stesse problematiche, egoismi e
rivalità in entrambe le realtà.
Un’altra
risposta alla non accettazione del “villaggio globale” è la ricerca diffusa
nella società contemporanea di un dialogo meno formale da intessere con la
comunità circostante. Tale ricerca si riduce molto spesso ad una mera evasione.
Così, un villaggio del Nepal o dell’Africa sahariana, fondati su un’economia di
sussistenza, o anche più semplicemente il paesino alpino, stremato dalla
continua emigrazione, diventano luoghi ideali di fuga dalla megalopoli. Tale
evasione può essere reale con un viaggio ma anche virtuale grazie agli
strumenti della televisione e di internet, che portano il mondo in ogni casa.
Questo fuggire per un attimo dalla società industrializzata non è tanto causato
dal senso di nostalgia per la semplicità di una società più a misura d’uomo,
bensì dall’esigenza di un dialogo più profondo fra gli individui. La necessità
di vita attiva non può, però, essere risolta con l’evasione: è impensabile
infatti pensare che la fuga risolva i problemi.
Quale
può essere dunque l’atteggiamento che permette di vivere in maniera attiva
questa società? Nel “villaggio globale” le distanze si accorciano solo
materialmente, esse si allungano infatti nei rapporti reali tra le persone. Per
far sì che le due distanze siano direttamente proporzionali e per uscire
dall’alienazione portata dalla società del “si”, non rispondiamo con la
nostalgia o con l’evasione momentanea. Incanaliamo invece l’esigenza di
partecipazione alla comunità in una realistica presa di coscienza della
situazione da intendersi non come accettazione della situazione così com’è
bensì in modo propositivo e costruttivo. Solo con la partecipazione, coltivando
e favorendo le diversità, possiamo rompere il mondo del “si”.
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